Recensione “Blackwater III – La casa” di Michael McDowell

Tra una lettura e l’altra ho deciso di proseguire la saga di Blackwater.

1928, Perdido. Il clan Caskey è dilaniato dalla lotta tra Mary-Love ed Elinor. Ma all’orizzonte si allungano altre ombre: sui legami, sui patrimoni, sulle anime. E le ripercussioni varcheranno i confini dell’immaginazione. Da quando Elinor ha preso possesso della casa più bella di Perdido, negli angoli bui della magione allignano ricordi spaventosi che, come ragni instancabili, tessono tele mortali.

Il romanzo è abbastanza breve e risulta sempre scorrevole; la narrazione entra subito nel vivo, riprendendo da dove si era interrotto il volume precedente. La trama è interessante e ben strutturata, ma ho trovato lo stile di scrittura più didascalico rispetto ai primi due capitoli della saga; l’autore, nonostante alcuni “spiegoni” che personalmente mi hanno fatto storcere un po’ il naso, rimane comunque bravissimo a riempire il lettore di inquietudine senza bisogno di versare una singola goccia di sangue. I personaggi sono piuttosto numerosi, ma li conosciamo già quasi tutti e risultano quindi ben caratterizzati anche grazie al fatto che vivono un po’ di rendita; spendo due parole su Oscar, il marito di Elinor, perché è colui che in questo volume ha un arco di trasformazione più ampio ed evidente. Sono piuttosto sicura di avere intuito chi sarà il personaggio più interessante del quarto libro, ma non posso dirlo per evitare spoiler (anche se, probabilmente, a non avere letto la saga di Blackwater siamo rimaste io… e io). Nel complesso è stata una lettura piacevole e che consiglierei sicuramente agli amanti dell’horror: come ho detto anche parlando dei capitoli precedenti della saga, non è esattamente il mio genere ma il testo è scritto davvero bene e sono quindi riuscita a godermelo. Farò calare un po’ la mia pila della vergogna, che verosimilmente tra poco mi sommergerà, e poi proseguirò sicuramente con il resto della saga.

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